Stuart Sutcliffe bassista dei Beatles dal '60 al '61 |
Querimonia in DO
di Matteo Tassinari
Sono io il quinto Beatles. L'unico vero. Non un produttore come Martin, non un organizzatore come Aspinall, non un occasionale sessionman come Preston, non un batterista dimissionario come Best, o un contemporaneo di tendenza fighetto come Colin Hanton: no! Sono uno dei cinque fondatori, quando ancora si chiamavano Quarrymen e non ancora Beatles. E a detta di alcuni, uno all'altezza di John, tanto per capire, se non qualcosa di più, quello che dà l'impronta una volta per tutte e mette a tacere i rosiconi, quelli che dicono di saperla lunga mentre di lungo e largo, hanno solo il loro egocentrico senso d’affermazione sugli altri. Per questo l’orribile giapponesina non mi ha mai voluto, nemmeno sentire nominare. Era assurdo il potere che aveva quella donna, un pitone sembrava ammaliatrice e brutta come un cervo senza respiro.
La terribile giapponesina (Stuart) |
Mi ha sempre
temuto. Teme che dopo tanti anni mi sia resa giustizia. D'altronde, ad essere onesti, non le si può dare torto quando chiede maliziosamente dove siano gli omaggi resimi dai miei compagni. Se sono stato tanto importante, perché mi hanno dimenticato subito? Loro che sapevano, sapevano tutto? Loro sapevano i nostri segreti, li conoscevano i "punti segreti", come li chiamavamo, quelle cose che non dovevano essere dette ad alcuno, neanche pensarle ad alto volume perché potrebbero sentirti. Era uno stato continuo di paranoie che ci devastavano non solo la salute mentale, ma anche quella fisica. Entravamo nel business e i sogni dei garage, diventavano solo un bellissimo ricordo. La risposta è proprio questa. Proprio perché sapevano tutto non hanno detto nulla. In genere io vengo considerato un esempio di sfortuna, già morire a 21anni di emorragia cerebrale non è un bel destino.
Stuart Sutcliffe |
Dovevo fare
quella fine
Ma se succede subito dopo che hai fondato un gruppo che si chiama Beatles, allora le cose cambiano, loro poi hanno cambiato la storia della musica mondiale. Improvvisamente, nel 1961, Sutcliffe cominciò a soffrire di fortissimi mal di testa, a volte accompagnati da svenimenti e una temporanea cecità. Fu osservato dai dottori più esperti che però non riscontrarono nulla di anomalo. Intanto le condizioni si aggravarono sensibilmente e il 10 aprile il 21enne musicista morì proprio dentro l’ambulanza mentre lo stava portando in ospedale. Ufficialmente la causa della morte fu una “paralisi cerebrale dovuta a emorragia nel ventricolo destro del cervello”. Un anno e mezzo dopo, in un successivo esame autoptico, i medici di Amburgo rilevarono che all’epoca del decesso nel cervello di Sutcliffe si stava sviluppando un tumore. Messa cosi sembra veramente una sfortuna mostruosa. Invece era una cosa dovuta, tutto correlato, implicato, equidistante, indifferenti. Mi spiego meglio. Dovevo fare quella fine perché la macchina funzionasse, eccome se ha funzionato! Per anni e anni ha continuato a funzionare, alimentata dal sangue scoppiatomi in testa quel giorno.
Una delle più belle foto rock di un gruppo che "l'ha fatta da padrona"
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Querimonia in Re
per Brian Jones
Ho appena ascoltato le accorate querimonie dedicate a Stuart, al quale manca tuttavia una visione d'assieme. E stato il più fortunato, ma ora siede nell’Olimpo dei Pellicani Evangelici Blu, lo so perché ci siedo anch'io e ci siede anche il Diamante pazzo (il creatore del Fluido Rosa, si, i Pink Floyd). Io lo sapevo che mi sarebbe capitato qualcosa, lo sapevo perché ero l'unico in grado di suonare tutti gli strumenti, ero come si dice un polistrumentista e questo Mick (Jagger) non lo sopportava, lo faceva schiattare d'invidia. Appena arrivavo io, andava via lui. Me la faceva pesare l’antipatia che aveva per me, mica scherzava, era pesante da sopportare, 'sto labbrone. Diceva che ero un esibizionista, un paranoico egocentrico, in realtà non ha mai accettato che io avessi più talento di lui. Così, dopo essersi lavorato la banda a puntino, il labbruto Jagger mi ha annunciato che dovevo andarmene e che davanti a me avevo due strade: o dimenticarli, e lasciare che si spegnessero, o dare la mia vita perché rimanessero una leggenda.
Il caschetto biondo di Brian Jones che Jagger detestava |
E siccome amo
le mie creazioni, mai ho rinnegato un solo accordo da me ideato, scelsi così la seconda strada, la più difficile, la migliore. Poi il 3 luglio annegai nella mia piscina e appena due giorni dopo i miei vecchi compagni riempivano Hyde Park con un gran concerto, in mio onore. Però, un briciolo di giustizia c’è, le potenze assolute hanno voluto che le mummie continuassero. Avete presente le facce di Richards? E quella di Mick?
Mick Jagger, l'incartapecorito |
Sono
ridicoli a 70 e sculettare a destra e a manca senza un minimo di consapevolezza che quei tempi non esistono più, almeno per loro, forse per altri no. Avete mai visto qualcuno più incartapecorito di loro? Più legnosi di loro nei movimenti? Sempre le stesse mosse? Gli stesi sketch, le stesse boccucce. E loro lo sanno perché sono così rinsecchiti, lo sanno eccome. Ora pagherebbero migliaia di milioni di sterline o di dollari per avere qualche goccia d’acqua della mia piscina, dove sono morto o mi ci hanno buttato dentro in stato comatoso. Piaceva al gruppo più trasgressivo d'America tirare tardi la notte sui bordi di quella piscina, tirare di coca, bere drink, di notte, di giorno.
Brian Jones, cofondatore dei Rolling Stones |
La logica delle
potenze assolute
Mi chiedo però quale sia la logica delle potenze assolute, perché a Stuart abbiano fatto esplodere il cervello senza che ancora avesse assaporato il successo, perché a me sia stato concesso qualche anno in più e perché invece il Diamante sia stato tenuto in vita per tanti anni, senza più il senno, ma in vita, che deve essere una sofferenza insopportabile anche per soli 10 minuti, figuriamoci per 40 anni! Ma siamo sicuri che non sia proprio lui il più sventurato dei tre, il labbruto che sculetta a 70 anni? Tornerò sul suicidio di Brian Jones, perché quello è un assassinio bello e buono da parte dei suoi amichetti o band!