domenica 13 ottobre 2013

Syd Barrett e il sogno Cosmico



SOGNO COSMICO

di Matteo Tassinari 
Cos’è successo al sogno Cosmico”? 
Se lo chiedeva l'influente e tagliente penna di Nick Kent, il giornalista decano più cosmopolita di musica rock e anche il più glamour che bene si addiceva a quel mondo per cui ha speso migliaia di aggettivi, anche perché se lo vedevi sembrava lui una rock star pronta ad esibirsi davanti a folle di lupi affamati, quali sono coloro quelli che vanno ai concerti giusti. La penna di Kent, se lo domandava sul “New Musical Express” (NME), un settimanale musicale britannico di tendenza rock psichedelico che ha commentato l’euforia esplosiva e contagiosa miscelata alla musica degli anni ‘60 e ’70.

 L'insurrezione 

lisergica

“Ma cos’è successo

al sogno cosmico?”.
E a chi si riferiva Kent? Scriveva dello sfibrato Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd, la band che in assoluto è onorata da tutti d'esser quella che ha toccato l’apogeo meno adiacente al nostro lido terrestre e che a tutt'oggi nessun'altra band o formazione l'ha superato con esiti più convincenti. Sembrava un sollazzo deliberato a tavolino, un vero spupazzo ma molto più paonazzo. Prima l'insurrezione lisergica, poi la sperimentale che con aziendale proprio nulla, la classica clinica da decerebrati e la session-music tonic, quindi edotto a reggere un movie monumentale come “The Wall”, una fantasia troppo invadente e con gli occhi dispotici, febbrili e utopisti di Alan Parker.

Il Fluido Rosa

Ma è con “The dark side of the moon”, ancora in vetta un anno dopo la sua pubblicazione e con Barrett che non dava più notizie di se da due anni, che il "Fluido Rosa" conquista tutte le scalette mondiali e sbanca ogni punto vendita al mondo. La gloria umana e del rock aveva già indicato chi fossero i prescelti. Riempiono tutti i palazzetti del mondo: Berlino, Parigi, Londra, New York. Gli stadi talvolta non bastavano a contenere le masse di spettatori che vorrebbero partecipare ai concerti, il più delle volte per la mancanza di posto e di servizi. Tutti i critici del pianeta, forse per la prima volta, si ritrovarono d'accordo nel considerarla come la zona, fino ad allora, mancante. La Pietra filosofale. L'elemento finora privato per la pozione magica, perché all'epoca si parlava e si scriveva anche così.
Nella foto, Syd Barrett. Il fatto è che quando vedi troppo lontano,
corri il rischio di non vedere più il tuo presente



Oltre il limite

Si era meno  imbrigliati e più creativi, è un conseguenza logica ovvia. E ancora oggi sono li ad incidere, ognuno per conto proprio, con Wright e Barrett che hanno visto il vero Fluido, quello che trapassa la nostra vita per intero. Tornando coi piedi per terra, mantenendo la mente sulle nuvole, solo con i diritti d'autore musicali dei Pink Floyd si sfamerebbero Stati membri dell'Africa immersi nell'incubo della fame, della sete e della guerra.
Qui sotto è Syd Barrett nel 1970, poi nel 2003, quando già da molto tempo aveva fatto ritorno a Cambridge nella sua casa. Sempre il biografo e giornalista Nick Kent, ha scritto sempre su “New Musical Express” che la vetta raggiunta dalla produzione del "maiale rosa" (altro segno distinguibile dei Pink Floyd) è e rimarrà la più alta in assolto di tutti i tempi: "Considerata la piega che ha preso la musica Rock o Progressive". Certo, porre dei limiti non è mai bello, ma io sono d'accordo con Kent, per quanto lui non sopporti Waters, lo si evince dalle diverse cronache musicali che il noto giornalista scrisse in quegli anni di passione ed esplosione giovanile.
Syd da giovane e poco prima di morire a Cambridge. Foto del '69-'03
Al di là     del
Sogno Cosmico
Kent pensò che  fosse il momento buono per ricordare ai lettori del NME, l’importante ruolo giocato da Syd all’inizio della carriere del “Fluido Rosa”. Sperava che col suo reportage lungo un paio di pagine e quattro foto, di ricordare proprio allo stesso Syd Barrett che aveva ancora un pubblico, affermando che la ricerca di altro suo materiale era ancora elevata e che la EMI era pronta a portarlo in studio, con un produttore al seguito, in qualsiasi momento, quando avrebbe voluto lui.
Syd Barrett
Il vero problema, però, era sapere se Syd fosse, ora, nel 1974, fosse effettivamente in stato di grazia come in passato, uno stato di grazia che gli permettesse di scrivere e suonare canzoni con la stesso successo, quando da Cambridge partì per l’America e sbiellarsi le sinapsi mentali a forza di acidi (Lsd25) come praline. C’era solo un modo per scoprirlo. Prenotare subito uno studio di registrazione. L’atteggiamento del produttore era offrire a Syd tutti i mezzi necessari e vedere cosa riusciva, e se riusciva ancora a tirar fuori qualcosa come solo lui era capace a metà degli anni '60. Purtroppo, il Barrett che si presentò in studio i primi quattro giorni, non risultò affatto essere neppure l’ombra del Syd che si sperava. Il Syd che in cinque minuti riusciva a trovare il filo per arrivare a chiudere un long play intero anche in una settimana.
Syd, 2004, Cambridge














 A nulla valsero i gentili
e tardivi tentativi da parte di Jenner e soci. Syd, chissà dove, si cercava. Si gingillava per lo studio, con melodie di chitarra, ma nulla di preciso, figuriamoci di speciale. Il 5° giorno di tortura, Syd capì ch’era finita. Lasciò lo studio per non farvi ritorno. L’esperienza più dolorosa per “il talento impazzito” di Cambridge, il diadema che diede combustione alla scintilla del motore della band più taumaturgica, al di sopra di tutte e tutti e ancora inarrivata. 

La         nemesi
sul fatto di essere ancora Syd. Vendette il suo appartamento a Londra per rientrare a Cambridge nella sua casa nativa. In quello stesso anno, sempre a Cambridge, fece ritorno un altro audace per quanto coraggioso Nick Drake, pure lui con la mente spappolata dalle pasticche che dovevano espandere la mente, quando invece l'ha occlusa a migliaia in un vicolo cieco e con un muro troppo alto per essere superato con le proprie forse e basta. Mancava l'energia neuronale, la forza cellulare, la potenza biomolecolare che in questi casi può essere paragonata ai Cd4, i linfociti di cui il virus dell'Aids va ghiotto e se li mangia tutti lasciandoti privo di qualsiasi difesa per cui tutto diventa una minaccia, fino a morire per un raffreddore perché è divenuto un tumore, semplificando parecchio.
Foto storica dei primi Pink Floyd, con Syd a destra in alto


Il     vento


soffia sui salici

Syd avvertì che non riusciva più a far parte di quel mondo di cui lui era stato uno dei massimi artefici e principali protagonisti, un autentico corpo disposto a provare qualsiasi intruglio chimico pur d'irrompere l'immaginario, per dirla con Jim Morrison. Nella sua mente, non aveva mai lasciato la sua casa, probabilmente. Come scrisse nel 2004 l’amico e giornalista Mick Rock: “Lui non ha mai lasciato Cambridge e neppure l’Inghilterra". Infatti tornò nella casa dove era cresciuto, era stato bambino, il legame fortissimo con la madre, i suoi spazi, un mondo più circoscritto. Vivendo come uno zio matto al piano superiore: "che scendeva in giardino di tanto in tanto e salutava" dicono i parenti oggi, per andare a smaltire la follia nata dal troppo talento predisposto al messaggio di Leary e dal periodo specifico.
Timothy Leary, uno Sgarbi del '68
 Forse il periodo più saturo
di attese e domande, alla fine degli anni '60 i giovani erano davvero un movimento quasi serio, lo rendeva così attendibile non tanto le questioni sul tavolo (parte, ovviamente, primaria). Il motivo principale è stata la propulsione, la carica, la passione. Un cocktail di effetti personali e aspetti sociali che hanno combaciato come fa il neonato quando cerca la tetta della mamma senza che nessuno gli abbia mai detto come fare. Passò alla storia del rock l’ultima frase che Barrett disse all’amico Steve Turner: “Cambridge è un posto al quale bisogna adattarsi. Non è semplice, ma alla fine è bello, perché è il luogo dove mi sento più protetto. E’ un bel posto, per vivere sottoterra”. Un po come La Talpa de “Il vento tra i salici” di Grahame.
Pink Floyd: da sinistra Roger Waters (basso), Nick Mason (percussioni), David Gilmour (chitarra), Richard Wright (tastiere)

L'ambiguo e ipocrita:

"Vorrei che

tu     fossi qui"

Intanto, l'ancor mal assortito gruppo d’individui che un tempo aveva rappresentato la “sua” band diventava una delle prime attrazioni al mondo. Ma il senso di colpa invase e rimase nel gruppo come un fantasma che ti gira per casa, ma sai che è un fantasma amico. Non è un caso se nel '75 i quattro magnifici, Waters, Gilomur, Wright, Mason, incidono “Shine you crazy diamond” e non c’era dubbio su chi era il folle gioiello che brillava sopra a tutti. Il lato B ospita uno dei brani cult dei Pink Floyd, "Wish you were here", (Vorrei che tu fossi qui), ispirato dal materiale raccolto durante le loro esibizioni in tutta Europa e registrato in numerose sessioni agli Abbey Road Studios di Londra.

E Waters sostituì Syd

L'album esplora i temi dell'assenza, della tirannia dell’industria musicale e del potere delle Etichette e del declino mentale dell'ex membro della band Syd Barrett. Disse Roger Waters: “Quando mi sono dedicato al testo del brano, non so perché ma ho cominciato a scrivere della fine della creatività di Syd. Volevo sforzarmi il più possibile e scrivere qualcosa riguardo a tutto ciò, esternare tutti miei sentimenti più profondi verso ciò che ci stava succedendo. La stampa dell’epoca criticò molto il nostro comportamento nei confronti di Syd, ma d’altra parte, cosa potevano fare, mi chiedo?". Come Clinton Helyn, capostipite dei critici musicali in America, se la prese soprattutto con Waters essendo lui diventato il referente del gruppo.


L'ironia di

 Waters

Questo la stampa non lo gradì. E fu allora che Waters sferzò la sua natura leale e corretta: “Non penso che sia necessario stabilire un dialogo con la critica rock, ci sono minoranze più interessanti di questi dotti pieni di parole e basta. Del resto, i critici musicali non sono mica un medium esplicativo tra noi pubblico. Il pubblico ci compra mica se legge un bell’articolo su di un giornale. Ci compra se gli piace la musica che sappiamo suonare. E siccome abbiamo successo, di conseguenza siamo molto vulnerabili agli attacchi da tutto il mondo e Syd è l’arma che viene utilizzata contro di noi e questo lo trovo molto scorretto”.


Ciglia rasate a zero come Geldof 

C’è del vero  nelle parole del genio, vero, dei Pink Floyd. Lo stesso discorso vale per la critica letteraria e il suo deleterio potere sui libri, ma questo è un altro discorso. Anche Gilmour disse la sua: “Kent scrive troppo di Syd e ora, per come la vedo io, è irrilevante parlarne ancora con toni così accesi e polemici nella recensione dei nostri attuali concerti”. Passano gli anni. I Pink Floyd svettano tutte le classiche del mondo ai primi posti. Fu così che nel 1975 la band si ritrovò agli Abbey Road Studios per festeggiare il matrimonio del chitarrista Gilmour. Al rinfresco c’erano molte persone, provenienti dal bizzarro mondo del complesso.

  "Quando tocca a me?"
Tra queste,
in un angolo appartato, una figura di un signore ingobbito e calvo, sopracciglia rasate a zero come Bob Geldof in "The Wall" e con lo sguardo vacuo e ghigno in faccia. Era Syd! Waters rimase turbato dalla presenza improvvisa (e dall’aspetto) di Barrett, che s’alzò e disse: "Bene, quand’è che registro la mia parte di chitarra?". Al che Waters gli rispose gentilmente: “Mi dispiace Syd, ma le parti di chitarra sono già tutte completate”. Cadde un silenzio nella sala piena di gente. Un’ulteriore prova del fatto che il “saggio folle” aveva perso il dovere di piacere agli altri e sapeva ancora ridere di se e del mondo del rock. Per dissolvere quell'aria così pesante e tetra, Roger Waters, come sempre felino, fece ascoltare a Syd il brano finito e gli chiese cosa ne pensasse. Ricevette in risposta un laconico: “Suona un po’ vecchio". Dopo quell’episodio all’Abbey, di Syd Barrett, non si seppe più nulla. 

Cervelli soffiati

Per chi ama i Pink Floyd, e sono milioni di persone, Syd Barrett rimane, e penso rimarrà, una delle figure più carismatiche e controverse della storia del rock, avendo ispirato molti altri gruppi rock psichedelici e affascinato molti altri artisti all'epoca ancora sconosciuti come David Bowie.





         C'è chi si chiede

ancora di quale malattia soffrisse in questo prolungatissimo silenzio assoluto e il ventaglio del blalabla s’è fatto ampio e colorato come la coda di un pavone filippino: schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, sindrome di Asperger, depressione acuta, o come abbiamo già detto postumi dell’abuso di Lsd, senza mai capire con esattezza la diagnosi precisa. Cervelli soffiati da Micropunte Berlinesi e Piramidi Olandesi.
Questo è il montaggio che meglio di altri rappresenta il Fluido Rosa


Un petardo nella bomba
Persone tuttora rinchiusi in ospedali psichiatrici o strutture pronte a tutto, che non si capisce bene la loro natura, scienza mista a religione, un puttanaio. Come il buon Paolo, conosciuto ai più come il Lupo, che non so neanche se sia ancora caldo. Per questo sono certo che l’abuso di droghe psicotrope da parte di Barrett, negli anni sessanta, sia stato un fattore scatenante della sua autentica follia. Un petardo nella bomba. Per chi ama i Pink Floyd, Syd Barrett rimane , e penso rimarrà, una delle figure più carismatiche e controverse della storia del rock, avendo anche ispirato molti altri gruppi rock psichedelici come gli Yes di Rick Wakeman e affascinato molti altri artisti come David Bowie, l'interessato ha più volte dichiarato. Un petardo nella bomba.
La copertina di The Madcap Laughs, l'unico lp che Barrett incise da solo


Quando registro
la mia parte?

Passano gli anni e i Pink Floyd svettano tutte le classiche al mondo ai primi posti. Fu così che nel 1975 la band si ritrovò agli Abbey Road Studios per festeggiare il matrimonio del chitarrista Gilmour. Al rinfresco c’erano molte persone, provenienti dal bizzarro passato e ambiente che gravitava intorno al pianeta rosa. Tra queste una figura un signore grasso e calvo, con le sopracciglia rasate, seduto da una parte con uno sguardo un po’ vacuo e un enorme ghigno stampato sul muso: era Syd! Waters rimase turbato dalla presenza improvvisa (e dall’aspetto) di Barrett, che s’alzò e disse: “Bene, quand’è che registro la mia parte di chitarra?". Waters rispose gentilmente: “Mi dispiace Syd, ma le parti di chitarra sono già tutte completate”. A quel punto era netta la separazione. 


“Suona un po’ vecchio”

Un’ulteriore prova del fatto che il “saggio folle” sapeva ancora ridere di se e del mondo del rock è data dal fatto che, quando Waters fece ascoltare a Syd il brano finito e gli chiese cosa ne pensasse, ricevette in risposta un laconico: “Suona un po’ vecchio”. Nel 1975 Barrett poteva anche avere perso per sempre quella comprensione, ma aveva ancora un vantaggio sui Pink Floyd.
Syd,
sono convinto, 
deve aver
vissuto momenti di esremo disagio, punte di sofferenza estreme, a parte un paio di comparsate, nella sua vita, in silenzio, mi viene da pensare quasi da eroe, consapevole dei suoi errori e senza disturbare nessuno s'è chiuso nel suo mondo per rimanerci fino alla morte. Perché ogni disco del Fluido Rosa, era in qualche modo A questo punto Waters era sinceramente arrivato a credere di poter aspirare ad avere le folli intuizioni e percezioni di Syd, un’affermazione che il gruppo utilizzò per far capire che i Pink Floyd potevano andare avanti anche senza il “diamante folle”. Ma lui, solo Syd, diede il via alla avventurosa parabola come una cometa dei Pink Floid. Solo Syd.