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Non sognatelo: siatelo!
R*H*P*S*
di Matteo Tassinari
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Apoteosi dark! Il "Rocky horror picture show" ha portato in scena e in trance il popolo della notte - e non solo - dopo aver irrotto l'immaginario. Azzurri e rossi gli occhi, tacchi a spillo, forcine per capelli, giarrettiere, guêpière, reggicalze e bustini serrati sulla schiena metallicamente. Ancora. Lacci, laccioli, zeppe in lattice per assottigliare i fianchi, ombelichi in vista, unghie affilate e rosse, ma anche laccate verdi, grandi cappelli e pelle, tanta, ma tanta pelle da cui assaporare pori di vita altrui come vampiri. Si, fa un pò schifo, ma anche no. Una fisarmonica in stile "Lupo ululà, castello ululì". Tonalità in gradazione armonica e oscenamente sguaiata, una stordente e contagiosa, febbricitante quanto mai dilagante intonazione, come una cantilena. Questo - può anche, anzichenò - modulare le note del "Rocky Horror", con la sua carrellata over-size di brani cult che hanno il senso dell'attrazione del sex-appel Transilvania, oltre ad aver segnato una delle compilation rock più ganze e audaci, originali, osé e avanzate. Da"Time Warp" a "Sweet transvestite", "I'm going home" a "Double feauture", se riuscite a mettere da parte tutti i vostri tabù, impresa gargantuesca, non avete che l'imbarazzo della scelta, come in un negozio hard core. Tanto ci siete stati anche voi.
Il Frankestein Place
Il musical di O'Brein, è un chiaro inno alla bisessualità.
Alla trasgressione, all'imprevisto che genera mostri. Un'opera teatrale dal
ritmo gargantuescamente mulatto, meticcio, scene gonfiate da un'inesauribile
vitalità pandemica e oltre modo contagiosa. Ci si trova soggiogati dalla musica
in mezzo a raffiche di doppi sensi e doppi sessi come se piovesse. E infatti
piove a catinelle quando Brad e Janet, due sposini impacciati e candidi come il
lieve nevischio di febbraio, a causa di un guasto alla vettura e bagnati da un
nubifragio oltre che angosciati da saette di lampi rivisti in
"Frankenstein Junior", finiscono, non so se per loro fortuna o loro
malgrado, nel "Frankenstein Place", dove uno più uno non fa sempre
due, a volte dà un "uno più grosso".
Memorie
"Drummondiane"
Come nelle memorie
"Drummondiane" del poeta Carlos De Andrade, in cui è insito l'erotico
poiché, come dicevano gli antichi: "Eros è il socio delle Muse" nel
piccolo museo sentimentale, dai monti di Venere fino a quelli da scoprire. Come
Drummond, il "Rocky Horror", proclama la libertà delle parole e
musica e sesso, una libertà idiomatica che crea modelli idiomatici ai limiti
delle convenzioni, seguendo la libertà proposta da Mario de Andrade. Con
l'istituzione del verso e movimento Pelvico libero, accentua la libertà
consentita, dimostrando che questo non dipende da un metro fisso o imposizioni
coatte e forzatamente prescritte a tutti da chi detiene il potere mediatico
delle immagini e del "bon-ton" sessuale benpensante.
Apoteosi dark! Il "Rocky horror picture show" ha portato in scena e in trance il popolo della notte - e non solo - dopo aver irrotto l'immaginario. Azzurri e rossi gli occhi, tacchi a spillo, forcine per capelli, giarrettiere, guêpière, reggicalze e bustini serrati sulla schiena metallicamente. Ancora. Lacci, laccioli, zeppe in lattice per assottigliare i fianchi, ombelichi in vista, unghie affilate e rosse, ma anche laccate verdi, grandi cappelli e pelle, tanta, ma tanta pelle da cui assaporare pori di vita altrui come vampiri. Si, fa un pò schifo, ma anche no. Una fisarmonica in stile "Lupo ululà, castello ululì". Tonalità in gradazione armonica e oscenamente sguaiata, una stordente e contagiosa, febbricitante quanto mai dilagante intonazione, come una cantilena. Questo - può anche, anzichenò - modulare le note del "Rocky Horror", con la sua carrellata over-size di brani cult che hanno il senso dell'attrazione del sex-appel Transilvania, oltre ad aver segnato una delle compilation rock più ganze e audaci, originali, osé e avanzate. Da"Time Warp" a "Sweet transvestite", "I'm going home" a "Double feauture", se riuscite a mettere da parte tutti i vostri tabù, impresa gargantuesca, non avete che l'imbarazzo della scelta, come in un negozio hard core. Tanto ci siete stati anche voi.
Il Frankestein Place
Il musical di O'Brein, è un chiaro inno alla bisessualità. Alla trasgressione, all'imprevisto che genera mostri. Un'opera teatrale dal ritmo gargantuescamente mulatto, meticcio, scene gonfiate da un'inesauribile vitalità pandemica e oltre modo contagiosa. Ci si trova soggiogati dalla musica in mezzo a raffiche di doppi sensi e doppi sessi come se piovesse. E infatti piove a catinelle quando Brad e Janet, due sposini impacciati e candidi come il lieve nevischio di febbraio, a causa di un guasto alla vettura e bagnati da un nubifragio oltre che angosciati da saette di lampi rivisti in "Frankenstein Junior", finiscono, non so se per loro fortuna o loro malgrado, nel "Frankenstein Place", dove uno più uno non fa sempre due, a volte dà un "uno più grosso".
Memorie
"Drummondiane"
Come nelle memorie "Drummondiane" del poeta Carlos De Andrade, in cui è insito l'erotico poiché, come dicevano gli antichi: "Eros è il socio delle Muse" nel piccolo museo sentimentale, dai monti di Venere fino a quelli da scoprire. Come Drummond, il "Rocky Horror", proclama la libertà delle parole e musica e sesso, una libertà idiomatica che crea modelli idiomatici ai limiti delle convenzioni, seguendo la libertà proposta da Mario de Andrade. Con l'istituzione del verso e movimento Pelvico libero, accentua la libertà consentita, dimostrando che questo non dipende da un metro fisso o imposizioni coatte e forzatamente prescritte a tutti da chi detiene il potere mediatico delle immagini e del "bon-ton" sessuale benpensante.
Richard O'Brein, autore del "Rocky horror picture show"
Le pruderìe allineate
conformiste
Si diventa partecipi di tutto quel che di umanamente trasgressivo si può ritrovare nello
scibile umane delle presenze in sala. Una lettura preziosa in questi tempi
di confusione ideologica sessuale e di precetti claustrofobici che impongono
modelli che altro non sono che deprimenti strumenti per catalogare a proprio
piacimento i gusti, gli odori, i desideri, le tendenze di cui si è diventati "vittima". Una vero slavina di disagi, asperità e imposizioni che
generano solo frustrazione. In realtà, chi gridò allo scandalo alla prima della
pièce teatrale lo fece perché si è detto: siamo tutti impostori che
sopportiamo. La lotta contro il perbenismo benpensante e le pruderìe allineate
conformiste, è sempre alta. Guardate che froce!
Che froce!
Un bijou del Kitch più noir grottescamente spigliato per
quanto disinvolto, puntuale come un fulmine, soprattutto per chi vive
l'esperienza in teatro e non al cinema, il rodaggio dell'emozione sarà ancora
più familiare e consueto. Intanto, dal suo laboratorio, nasce Rocky. Un Omo
sostanzialmente decerebrato, acefalo, privo di capacità di discernimento,
insomma, un corpo da usare e riusare, fino al crollo definitivo. E siccome
Frank, il travestito della nebulosa di Transilvanya non è mai sazio in quanto
sessuofobo bagnato di santa sangre, deciderà di spassarsela anche con i fatati
sposini seducendoli di notte, prima Janet e poi Brad.
No, niente
Alka seltzer
Frank però
non resisterà a lungo, essendo un alieno, come lo sono
Magenta e Riff-Raff i quali, esausti e vigliacche carogne, decideranno alla
fine di neutralizzarlo, tornando nel "Pianeta Transilvania", proprio
laddove si riuniva la
Trilaterale e questa invece è verità, l'oscura finestra, lo
squarcio tagliato da lama affilata. Un risveglio traumatico e desolante, su cui
neanche l'inconturbabile e imperturbabile narratore dall'aplomb britannico darà
il tracollo, che rotolerà. Il "Rocky Horror" è un monumento alla
psichedelia, al travestitismo issato come emblema di una rivoluzione sessuale
"sorridente" e "cinica", un gesto all'amore gargantuesco.
Oppure opera museale e parallelamente delirante nella sua concitata
effervescenza briosa esuberanza. No, niente Alka-seltzer, semmai un chilo di
Bicarbonato per cacciare un rutto che strapperà un applauso agli ospiti del
"Frank-N-furter Palace" in Transilvanya, nel Medioevo principato,
oggi parte centro-occidentale rumena conosciuta come Ardeal, luogo ameno,
esilarante, ma luogo smarrito.
Afferra dal basso e tira forte
Un tocco di teatro nero mai scritto prima, ma neanche dopo, con un risultato tutto tondo ed endorfinico. La spettacolarità a cui è arrivato il "Rocky Horror" negli anni, non hanno permesso che s'infiltrasse alcun dubbio sul musical. Semmai una certezza. Il musical, semplice, ritmico e melodico "afferra dal basso e tira forte" per dirla con glosse style punk-rock. Fa parlare di sé come Marco Pannella. Contagia e appesta come un'infezione a gittata nucleare contaminatrice, vedi Sarkozy. Scalza. Ammacca. Disorienta come Sgarbi. Come uno scontro frontale contro Giuliano Ferrara, la provocazione che arriva dritta come Ghedini ad allagare la platea di opzioni, se si ha la fortuna di aver vista la pièce teatrale, altrimenti ci si deve accontentare del dvd, che da ma non come in Teatro. Un vero momento dove è concesso perdere le coordinate, per offrire spazio alla nostra parte folle, anche di chi si mette le pattine per entrare in salotto. Dai, diamo aria ai polmoni ogni tanto, siamo uomini e donne, mica pezzi di coccio!
*Le cinque V*
Cinque V: Vita, Virulenza, Virilità, Vitalità e Violenza per scalzare perbenismo, conformismo, ipocrisie e pruderie, dando così ragione a Levi-Strauss: "Solo la musica e il ballo collettivo sono linguaggi primari. La parola viene dopo" e a George Steiner, che ritrovava, a suo libero dir, nei fenomeni musicali, un residuo dell'anticipazione spazio temporale dei costumi. Forse per queste due interpretazioni, il 26 settembre 1975 nelle sale cinematografiche americane (la prima fu a Los Angeles) debutta il "Rocky Horror Picture Show", un musical low-budget tratto da uno spettacolo teatrale (quasi omonimo, basta togliere la parola "Picture" dal titolo) che aveva fatto furore fin dal suo debutto in un piccolo teatro del West-End londinese, nel giugno del 1973, diventando in breve tempo un vero e proprio fenomeno. Quasi ovunque il film fu un totale disastro. Nel 1976, però, comincia a verificarsi uno strano fenomeno. Nelle sale dove la pellicola viene proiettata ci sono solo poche decine di spettatori, ma sono gli stessi della sera prima, e di quella precedente, e della precedente ancora.
Richard O'Brein, autore del "Rocky horror picture show"
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Le pruderìe allineate
conformiste
Si diventa partecipi di tutto quel che di umanamente trasgressivo si può ritrovare nello scibile umane delle presenze in sala. Una lettura preziosa in questi tempi di confusione ideologica sessuale e di precetti claustrofobici che impongono modelli che altro non sono che deprimenti strumenti per catalogare a proprio piacimento i gusti, gli odori, i desideri, le tendenze di cui si è diventati "vittima". Una vero slavina di disagi, asperità e imposizioni che generano solo frustrazione. In realtà, chi gridò allo scandalo alla prima della pièce teatrale lo fece perché si è detto: siamo tutti impostori che sopportiamo. La lotta contro il perbenismo benpensante e le pruderìe allineate conformiste, è sempre alta. Guardate che froce!
Che froce!
Un bijou del Kitch più noir grottescamente spigliato per quanto disinvolto, puntuale come un fulmine, soprattutto per chi vive l'esperienza in teatro e non al cinema, il rodaggio dell'emozione sarà ancora più familiare e consueto. Intanto, dal suo laboratorio, nasce Rocky. Un Omo sostanzialmente decerebrato, acefalo, privo di capacità di discernimento, insomma, un corpo da usare e riusare, fino al crollo definitivo. E siccome Frank, il travestito della nebulosa di Transilvanya non è mai sazio in quanto sessuofobo bagnato di santa sangre, deciderà di spassarsela anche con i fatati sposini seducendoli di notte, prima Janet e poi Brad.
No, niente
Alka seltzer
Frank però
non resisterà a lungo, essendo un alieno, come lo sono
Magenta e Riff-Raff i quali, esausti e vigliacche carogne, decideranno alla
fine di neutralizzarlo, tornando nel "Pianeta Transilvania", proprio
laddove si riuniva la
Trilaterale e questa invece è verità, l'oscura finestra, lo
squarcio tagliato da lama affilata. Un risveglio traumatico e desolante, su cui
neanche l'inconturbabile e imperturbabile narratore dall'aplomb britannico darà
il tracollo, che rotolerà. Il "Rocky Horror" è un monumento alla
psichedelia, al travestitismo issato come emblema di una rivoluzione sessuale
"sorridente" e "cinica", un gesto all'amore gargantuesco.
Oppure opera museale e parallelamente delirante nella sua concitata
effervescenza briosa esuberanza. No, niente Alka-seltzer, semmai un chilo di
Bicarbonato per cacciare un rutto che strapperà un applauso agli ospiti del
"Frank-N-furter Palace" in Transilvanya, nel Medioevo principato,
oggi parte centro-occidentale rumena conosciuta come Ardeal, luogo ameno,
esilarante, ma luogo smarrito.
Afferra dal basso e tira forte
Un tocco di teatro nero mai scritto prima, ma neanche dopo, con un risultato tutto tondo ed endorfinico. La spettacolarità a cui è arrivato il "Rocky Horror" negli anni, non hanno permesso che s'infiltrasse alcun dubbio sul musical. Semmai una certezza. Il musical, semplice, ritmico e melodico "afferra dal basso e tira forte" per dirla con glosse style punk-rock. Fa parlare di sé come Marco Pannella. Contagia e appesta come un'infezione a gittata nucleare contaminatrice, vedi Sarkozy. Scalza. Ammacca. Disorienta come Sgarbi. Come uno scontro frontale contro Giuliano Ferrara, la provocazione che arriva dritta come Ghedini ad allagare la platea di opzioni, se si ha la fortuna di aver vista la pièce teatrale, altrimenti ci si deve accontentare del dvd, che da ma non come in Teatro. Un vero momento dove è concesso perdere le coordinate, per offrire spazio alla nostra parte folle, anche di chi si mette le pattine per entrare in salotto. Dai, diamo aria ai polmoni ogni tanto, siamo uomini e donne, mica pezzi di coccio!
*Le cinque V*
Cinque V: Vita, Virulenza, Virilità, Vitalità e Violenza per scalzare perbenismo, conformismo, ipocrisie e pruderie, dando così ragione a Levi-Strauss: "Solo la musica e il ballo collettivo sono linguaggi primari. La parola viene dopo" e a George Steiner, che ritrovava, a suo libero dir, nei fenomeni musicali, un residuo dell'anticipazione spazio temporale dei costumi. Forse per queste due interpretazioni, il 26 settembre 1975 nelle sale cinematografiche americane (la prima fu a Los Angeles) debutta il "Rocky Horror Picture Show", un musical low-budget tratto da uno spettacolo teatrale (quasi omonimo, basta togliere la parola "Picture" dal titolo) che aveva fatto furore fin dal suo debutto in un piccolo teatro del West-End londinese, nel giugno del 1973, diventando in breve tempo un vero e proprio fenomeno. Quasi ovunque il film fu un totale disastro. Nel 1976, però, comincia a verificarsi uno strano fenomeno. Nelle sale dove la pellicola viene proiettata ci sono solo poche decine di spettatori, ma sono gli stessi della sera prima, e di quella precedente, e della precedente ancora.