martedì 26 novembre 2013

La parabola dylaniana

Robert Allen Zimmerman, meglio conosciuto come Bob Dylan
Bob Dylan,
la       Sfinge
Who is Bob Dylan?

di Matteo Tassinari
Messaggero e nunzio di una epoca e genesi di astrazioni, ideali e castelli per aria, estremo cantore e poeta di una leggenda dispersa e smarrita, incantò per anni milioni di giovani e non. Rapsodo eccelso alato al rango di narratore di un periodo storico mai più rivissuto. Come ti pare di averlo taroccato in un contenitore etichettandolo, eccolo che ti sguilla via per ritrovarlo, come sempre, più avanti di tutti, oltre ogni confine musicale stabilito. Amato da Scorsese che adoperò nelle sue pellicole numerosi brani del menestrello di Duluth. Un camuffamento sempre più impenetrabile e velato, ambiguo e caliginoso, enigmatico quanto nebuloso, ma sempre performante, creando ad ogni disco, o concerto, un'arcano travestimento occulto. Non è mai stato semplice capire e seguire le tracce dell'artista sempre al centro della scena mondiale ma non certo un amante della mondanità, grande vulnus che sgrana e sgretola in tutti i modi e per come può. Ma non illudiamoci che Dylan, per quanto grande sia, fosse un indipendente assoluto.
Non ci credo
"nianca" se mi
pagano. Prima di diventare colui che dettava la legge con ogni tipo di Etichetta, dalla Universal Music Group alla Sony Music, dalla Columbia Records alla più modesta Island Records. Anche con la Asylum, s'impose per una questione di costo del biglietto durante i suoi concerti. Dylan voleva biglietti meno costosi, la Major li voleva più alti, si parlava di 25 dollari, mentre per il poeta sarebbero bastati anche 15 dollari per riempire qualsiasi stadio o parco immenso capace d'ospitare le maree che Dylan attirava. Nessun cantante possa dire quello che Zimmerman può affermare: i generi e sottogeneri musicali di migliaia di cantanti o band di tutto il mondo, hanno l'imprinting in Bob Dylan, la sfinge.
La     gloriosa
libertà     mentale
Ad un certo punto Dylan, rapsodo menestrello del folk revival, cambiò decisamente suono e performance celebrative. Per spiegare quello che accadde è necessario fare un piccolo passo indietro. Il teatro del rilancio della canzone folk americana, fu il festival di Newport, dove nel 1965 ci fu la consacrazione ufficiale di Bob Dylan e Joan Baez. Dylan si presentò a sorpresa con il gruppo, proponendo una musica aggressiva e stridente che gettò nello sgomento la platea impreparata a questa nuova versione dylaniana, ancora rigorosamente legata all'idea del grande cantore folk armato solo di chitarra e al massimo un'armonica a bocca e nessun'altro gingillo o strumento musicale.

       Di questa icona
       però Dylan
non ne poteva più, gli stava pesante addosso. Ma il pubblico non voleva il cambiamento artistico del folksinger di Duluth e lo fischiò indebitamente oltre che schiamazzare durante la performance di 10 minuti. Dylan fu costretto ad abbandonare il palco a metà circa del suo spettacolo e a tornare subito dopo tra lacrime e singhiozzi, cercando la soluzione al momento un movimento musicale più acustico. Una via di mezzo, tra il folk e il rock in pratica. Si arrese Bob. Si arrese per calmare il pubblico che lo voleva ancora come il racconta storie melodico e se vogliamo prevedibilissimo in tutti gli accordi, arpeggi e testi. Bob si arrese, e cantò Knockin' on Heaven's Door per poi diventare il leone della musica por, rock, folk, quello che volete.

Il pubblico rimase come abbagliato da quei tre o quattro accordi, un'armonica e una batteria secca e dura, per mandare in visibilio migliaia di giovani accorsi al concerto. Pochi come lui hanno lasciato indelebilmente nell'anima un brillìo così accecante, un punto in comune col mondo, coniugando il suono delle arpe, accordandole. Il giovane ebbe fiuto, la gente lo seguì.
  Robert Allan Zimmerman da Duluth

Quello fu il suo ultimo contatto con il mondo del folk. Tuttavia, anche se nessuno se ne fosse accorto di cosa fosse accaduto (forse neppure lo stesso Dylan) ma in quel momento il singer Robet Allan Zimmerman, aveva inventato quel filone musicale definito dai giornalisti di musica rock, diventata ormai una lobbies o delle star allo stesso pari delle rockstar. Il folkrock, definizione coniata dal Billboard, una delle riviste più influenti del settore e dedicata alla musica e ai video rock, sempre prponta a captare le mode del momento se non anticipandole. Il movimento Hippies, stava già perdendo "pezzi" d'autenticità. Mancavano pochi anni all’era dei grandi raduni pop e le prime adunate giovanili si svilupparono intorno ai festival folk, improvvisati in due giorni, per diventare fattore aggregante per le diverse componenti che stavano contribuendo a far nascere la cosiddetta “controcultura”.
Ipse dixit
"Ho chiesto a Timothy Leary, ma non ha saputo aiutarmi nemmeno lui", dissero in un brano gli Who che chiudeva il musical "Hair". E mi viene in mente Francesco Guccini, quando canta: "ne abbiamo visti geni e maghi uscire a frotte, per scomparire".
Timothy Leary, l'uomo più folle di tutti, al punto che Marilyn Manson è un'educanda. Stava per versare nell'acquedotto pubblico della Contea di Los Angeles litri di Lsd, affinché la popolazione intera della cosiddetta "città degli angeli", fosse tutta in acido senza saperlo. Ma pensate cosa sarebbe successo se non fosse stato fermato prima, gli mancava un metro alla meta. Che spettacolo paranoidale! Che visioni! Che delirio! Che follia!
Parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere. (Frank Zappa)
Rompere ogni schema


Fra questi Woodstock ha segnato certamente il picco più alto col suo milione di persone presenti al raduno musicale organizzato senza pubblicità se non il cosiddetto passaparola che si rivelò vincente se non fenomenale. L'esibizione andò così bene, che durò un giorno dopo la data prevista. Un successo. Anche sotto la pioggia continuarono a suonare per arrivare stremati al 18 agosto. Il tutto condito da quantità enormi di canapa e Lsd, tra cui il diffusissimo acido Orange Sunshine. Il festival ebbe una grande carica simbolica, l'evento della storia del rock e del costume giovanile di quegli anni davvero fuori da ogni prevedibilità, un movimento nato per necessità, non per aggregazione politica, quella caso mai era una conseguenza secondaria. Quando per mille motivi tutti aggreganti, ma senza progetto preciso, come guidati dagli dei e le stelle, i giovani per la prima volta, dissoluti e tenaci contro il sistema culturale a loro non più consono, anzi molto opprimente, per la "gloriosa libertà mentale". La definivano lotta sociale, non politica, la differenza quale fosse non la so, ma è ammirabile come milioni di giovani bussavano, per la prima volta, alle porte del Paradiso, a ciò che gli era stato sempre taciuto e nascosto.
Secondo quelle classifiche che lasciano il tempo che trovano, cioè se è bello resta bello se piove resta piove, questa foto è stata decretata come lo "Scatto" più rock in assoluto. L'originale è stato venduto ad un'asta per la "modica" cifra di 250 mila dollari. Mick Jones dei Clash alla guitar.

Generazione in movimento
Si pensa spesso alla musica dei Jefferson Airplayne, di Dylan, di Cohen come ad un genere musicale "politicizzato". In parte è vero, anche se di­re che gli Hippies o i Reaks fossero politicizzati non è affatto vero. "Politico" era sicuramente l'atteggiamento che i giovani avevano nei confronti del sistema, il rifiuto radi­cale dei modelli del capitalismo americano, dell'imperialismo, il sogno di un mondo governato dall' amore considerata l'Eldorado per tutti, il pacifismo e la non violenza come valori assoluti. La musica di quegli anni era intimamente legata al sogno di una società diversa, e la spinta visionaria arrivava in gran parte dal movimento nato nelle uni­versità. 
Martin Luther King
La parte non violenta 
dell'America

Il rock nacque
contemporaneamente, se non insieme, all'ondata pacifista che in­vase l'America nei primi anni '60. Un viaggio culturale che l'ha visto come colonna sonora basica di tutto il periodo più fantastico, indescrivibile, sbalorditivo, irripetibile, irriferibile, esplosivo, insensibile alle reprimende repubblicane (fortissime), contro l'escalation della guerra in Vietnam vo­luta da Lindon Johnson prima e Richard Nixon poi, animata da una parte dai dettami non violen­ti di Martin Luther King e dall'altra dai sogni di rivoluzione di Malcolm X, dal Free Speech Movement di Mario Savio e dal Black Power di Stokely Carmichael, dalle poesie di Ginsberg e Corso ai sogni ribelli di Jerry Rubin e Abbie Hoffman. Insomma, era un periodo difficile ad annoiarsi. Era definita musica cosciente, per la prima volta, della propria forza, dei pro­pri contenuti, della propria capacità di raccontare ed esplorare a propria stessa vita. Il rock in quel momento divenne un fenomeno unificante. Quasi un distintivo che lo si leggeva nel vestiario e nei capelli. 
Bob Dylan e Joan Baez, acerbi quanto novelli
"L'usignolo
di Woodstock"
Quello che negli anni precedenti era stato un lavoro militante, svolto con passione e audacia da un drappello di eroi folk, ora stava diventando un culto di massa e Dylan sembrava il personaggio migliore per essere il leader, capace di coniugare la parte più oltranzista con quella più tradizionalista legata ai vecchi brani folk. Nel 1967, Dylan diviene il ponte di congiunzione perfetto fra la tradizione e il nuovo sentire, il vecchio e il futuro, compito non facile, ma certamente invidiabile per ogni artista americano. 
Rolling Stones
Il movimento folk, prima
ancora che le masse giovanili di tutto il mondo, accolse Dylan come il nuovo, grande, esperto continuatore della tradizione, riconoscendone il carisma e l'inventiva. Avvenne al festival di Newport nel '63, quella famosa dove si consacrò il duetto Baez-Dylan. Le nuove canzoni pacifiste di Dylan e al suo fianco Joan Baez (soprannominata 'l'usignolo di Woodstock'), sembrò il perfetto complemento di Dylan. In realtà Joan Baez, che per qualche tempo fu legata a Dylan anche sentimentalmente, si trovava molto più a suo agio nella stretta militanza delle comunità folk, continuando poi per il resto della carriera a seguire questa ispirazione iniziale, cantando il patrimonio popolare e le canzoni di protesta di tutto il mondo, compresa una canzone italiana, “C’era un ragazzo che come me, amava i Beatles e i Rolling Stones”, che fece furore negli anni Sessanta anche in America.

Poesia e        rivoluzione,
le ingenuità
Dylan, invece, si era trovato per cosi dire suo mal grado a interpretare la parte del cantante di protesta. E che fosse un abito che gli stava stretto lo si capi subito dopo, quando rapidamente cominciò ad affinare il linguaggio delle sue canzoni, sfuggendo ai canoni classici della folk song e introducendo un linguaggio articolato, intellettualmente ambizioso, spesso enigmatico. Nel 1965 la scena musicale, grazie soprattutto ai Beatles, era rapidamente cambiata. Dylan, poeta inquieto e imprevedibile, aveva intuito, le potenzialità rivoluzionarie della combinazione fra testi impegnati e musica elettrica. Pur facendo capo a una scena legata a stilemi ben precisi e radicati nella tradizione. La sua ricerca manteneva, anche dopo il successo, un approccio mobile, innovativo, una pulsione di ricerca che lo spinse a un repentino cambiamento ottenuto applicando le forme abituali della folk song a una strumentazione elettrica. Un piccolo ma sconvolgente passo che rafforzò la sua potente personalità e generò un periodo di incontenibile creatività.
La grande Literature rock 

Il resto è ormai leggenda. In realtà Dylan aveva già inciso un brano elettrico molto tempo prima, ai suoi esordi, una versione di That' s Alright Mama di Elvis. Registrazione che non fu mai pubblicata perché Grossman e Hammond preferirono mantenere l'accento sul lato folk del suo repertorio.
La svolta elettrica di Dylan
trovò immediatamente la sua straordinaria rappresentazone in Highway 6 I Revisited, uno dei dischi più importanti della storia della musica popolare, scandito da canzoni potentissime come “Like a Rolling Stone”, “Ballad o/ a Thin Man”, “Queen Jane Approximately”, “Tombstone Blues” e “Desolation Row”. Ognuna era una perfetta sintesi di grande letteratura rock e quella nuova direzione sonora che coglieva il lampo elettrico che stava cominciando a illuminare lo spirito del tempo.
L'uso 
delle metafore
fu straordinariamente amplificato, la musica spaziava dal blues al rhythm'n'blues alle rimembranze acustiche (gli undici minuti finali di Desolation Row), abbattendo qualsiasi rigidità, scavalcando senza alcun timore il confine tra assurdità e profondità in testi che erano, se possibile, ancora più liberi della musica stessa. Nell'estate del 1965 Dylan entrò in una fase creativa che lo portò per qualche anno a lavorare a un ritmo febbrile, straordinario, come ricorda John Cameron nelle note di 'Biograph': “Dylan lavorava costantemente, mangiava di rado, si fermava di rado. Come James Dean prima di lui, Dylan lasciò dietro di sé un'onda di persone che stavano ferme preoccupandosi del suo talento e della sua salute”.
Bob,        the Lighthouse 
Dylan arrivò per la prima volta ai vertici delle classifiche inglesi con “The Times They Are A-Changin”, fatto mai accaduto che in Inghilterra un Lp americano vincesse su band inglesi, ulteriore segno che la rivoluzione copernicana avviata andava ben oltre i confini degli Stati Uniti. La lezione del cantautore di Duluth fu fatta propria tanto dai musicisti americani quanto da quelli inglesi, i Beatles su tutti, i quali sorprendendo il mondo dichiararono che ad indicare la strada per tutti, è sempre stato proprio Dylan a tracciare il nuovo sentiero, ovviamente ognuno a suo modo, con le proprie inclinazione musicali e la propria vita. Perché un chitarrista spiantato è senz'altro migliore di uno che il pomeriggio fa l'avvocato. Ne sono certo. A proposito di riferimenti.

“Grazie a Dylan ho compreso le potenzialità delle liriche di una canzone e la storia assunse una rotta decisamente inaspettata" disse John Lennon. Dylan aveva in qualche modo sdoganato il rock, facendone la colonna sonora della protesta e più in generale dei turbamenti delle nuove generazioni. Aveva conquistato tutto, pubblico, etichetta e mercato.
Da quel momento la musica si sarebbe intrecciata indissolubilmente con le vicende del decennio, diventando linguaggio creativo, cronaca degli eventi e ancor più esperienza di vita e veicolo per la diffusione di idee nuoveGli anni Sessanta, ribelli e travolgenti, si chiudevano insomma con un Dylan completamente diverso da quello che aveva aperto il decennio, un Dylan che era riuscito, attraverso mille cambiamenti, a raccontare al mondo intero cosa poteva essere, cosa era già diventato, il rock e soprattutto. Un Zimmerman che a sua insaputa sintetizzava tutti, dai pink floid a Eric Clapton. Non a caso fu definito, in un'importante festeggiamento di una sua tra le tante ricorrenze, Il Faro.
Rileggendomi, ora, dopo 1 anno circa, ho pensato: "Cazzo... s'ero depresso!".