credersi immuni è folle
di Matteo Tassinari
Le parole di Eugenio Borgna, decano della psichiatria
italiana, forse sarebbero le più adatte per commentare il capolavoro di Milos
Forman, "Qualcuno volò sul nido del cuculo". Collega e amico di Franco Basaglia, lo psichiatra che ebbe
l'incontestabile merito di far capire come il malato di mente non è un
rifiuto della società da rimuovere, perché come direbbe il profeta
Isaia privo “di apparenza e di bellezza per attirare gli sguardi”, bensì una
persona che, pur nella patologia, conserva una irriducibile dignità. Borgna ha
impostato il suo magistero clinico, pratico, saggistico e intellettuale su
alcuni versi di Friedrich Hölderlin, poeta tedesco, tra i più grandi sicuramente della letteratura mondiale che sostengono come l'uomo sia, nella sua più intima
essenza, un “colloquio”, "un esperimento contino dialogico". Sempre Borgna, dice: “noi siamo un colloquio, perché impazziremmo se non comunicassimo, che non significa parlare con qualcuno, ma neanche nascondere i nostri personali vulnus dell'anima”. Vulnerabile è tutto ciò che è esposto alla possibilità di essere ferito, violato, leso, colpito, percosso, offeso, tagliato, danneggiato, ossia tutto ciò a cui mirano il raggiungimento delle cliniche psichiatriche passate e odierne. Assertore convinto della cosiddetta "psichiatria fenomenologica" e capace di
partecipare umanamente alla vita psichica e quindi alla sofferenza dell'altro,
Borgna da sempre respinge il ricorso massiccio alla farmacoterapia esclusiva, il cui
rischio è quello di oggettivizzare e rendere funzionale alla società anche la malattia mentale e ridurla a mero disturbo neuronale. Non si butta via proprio niente.
Il cervello e la sua mistica
Contro la mistica del cervello e della sua chimica corrispondente, spesso determina lo status quo del disagio, Borgna a questo oppone la “psichiatria
del dialogo”, che ammette il ricorso ai farmaci, senza ridursi solo
ad esso. Ogni relazione psicoterapeutica è autentica e creativa quando in essa
nasce una comunità di destino, una radicale solidarietà umana nella sventura
disumana, nella quale il paziente e chi cura il paziente si riflettono
nell'asimmetria della loro condizione umana e psicologica e reciprocità della
loro dimensione personale, che non viene mai meno al di là di ogni disfatta
psicotica. Per questo e altri motivi, "Qualcuno volò sul nido del cuculo" sbranca e sbanca tutti i tabù che alla fine degli anni '70 la società americana proiettava sulla malattia mentale le proprie paure del futuro (ci voleva un ceco come Forman, perché questo denuncia avvenisse con sarcasmo arguzia, senza scomodare "melodrammoni" da kolossal). Un capolavoro autentico, che fra un dileggio e uno sberleffo, "impiatta" con grande maestria un argomento che era solo vergognoso il parlarne. Se poi in famiglia c'era una persona con disturbi mentali, era da nascondere, fuggire dalla e alla società. Il grande popolo americano, in pratica, vedeva nella pazzia la fine di tutto e ne avevano, in realtà, una grande paura nutrendo verso di essa una fobia costruita su basi d'inquietudine e pregiudizi. Essere pazzo, in quegli anni, significava essere figli di un Dio minore, al di la della retorica cinefila.
La follia è una condizione umana. In noi esiste ed è presente come lo è la ragione. (Franco Basaglia, "Che cos'è la Psichiatria", 1967) Il posto delle fragole |
Nello State Mental Hospital di Salem, l'istituto d'Igiene mentale
dove si svolgono i fatti narrati del film di Forman, la cura farmacologica va dalla
somministrazione di molte pillole, all'elettroshock, fino alla lobotomia, una politica che fa parte del metodo apodittico e inconcusso con il quale la psichiatria ha riempito strutture degenerative, di persone che non potevano che peggiorare in quelle condizioni. Errori mai pagati da nessuno se non da chi era caduto nelle grinfie di chi ti vuole imporre la sua visione di vita e non la tua.
Una violenza, una pratica diffusa in tutto il mondo,
che per uno stato mentale già disturbato, è deleteria per la persona. In
"Qualcuno volò sul nido del cuculo", le sedute condotte
dall'inflessibile dottoressa Miss Ratched, la gerarca del reparto, sono
l'oscena caricatura di tentativi vani per stabilire un colloquio con i degenti.
In realtà il colloquio non le interessava. Come le fa notare più volte McMurphy
(Jack Nicholson) la caporeparto non ascolta i pazienti, non veglia con
loro, né siede al loro capezzale, non fa di se il punto in cui
confluiscono gli innumerevoli patimenti dei suoi amici. La stessa attrice, Louise Fletcher, l'antagonista di Jack Nicholson nel film, affermò: "Non riesco a guardarlo, il mio personaggio è spaventoso". Effettivamente con una maestosa interpretazione riesce a scatenare negli spettatori rabbia e disprezzo, tanto che lei stessa racconta che "vidi il film in un cinema di Chicago insieme ad altri spettatori. Quando arrivò la famosa scena in cui Nicholson l' attaccava letteralmente al muro, quasi strangolandola in un irrefrenabile scoppio d'ira, la gente in sala iniziò ad alzarsi, inneggiando a Jack e battendo ritmicamente i piedi. Tutti contro di me. Capii di aver creato un personaggio davvero cattivo".
Esso è, a tutti gli effetti, un luogo dove il
diverso, per definizione, è tenuto lontano dal mondo dei sani
perché lui non lo è. Lui è un tabù. Forse non è un caso che l'ospedale si trovi proprio a
Salem, la città del Massachusset resa tristemente famosa dai processi alle
streghe del 1692, a cui Arthur Miller dedicò l'opera teatrale “Il crogiuolo”.
Come le streghe, così anche i degenti dello State Mental Hospital sono soggetti
la cui pericolosità deve essere “raffinata”, placata in qualsiasi modo o
maniera, botte, mezzi metallici, manganelli elettrici, oltre al solito
elettroshock o medicinali dai principi attivi da stendere intere stalle di
cavalli in ottima salute. Un luogo costruito volutamente per non sentirsi bene e
restare in quell’ombra continua. McMurphy, al contrario, decide di operare una radicale restaurazione
dell'umano considerato disumano, spezzando la ferrea liturgia del reparto.
Al
capezzale di un suicida
A 35 anni di distanza il film
non ha perso nulla di quella
potenza emotiva e resta certamente tra le pellicole di "denuncia" più
incisive di tutti i tempi. Oggi l'ospedale psichiatrico di Salem in Oregon,
dove allora venne girato il lungometraggio dopo anni di abbandono, verrà
trasformata in un Museo dedicato alla salute mentale.Dice Isaak Borg nel “Posto
delle fragole”, riassumendo in una sola parola - perdono -, tutta la
deontologia medica e le sue colpe inconfessate. Il perdono presuppone un Tu, un
volto da guardare, un corpo di cui prendersi cura nella sua unicità e
fragilità. Se manca il volto, un viso da toccare con le mani, sentire su se
stessi la pressione fisica, corporea, mano sulla spalla,
carezza, sorriso, una stretta di mano sono questioni di autentica rivoluzione
emotiva-soggettiva, una rivoluzione che riscatta una piccola parte di quello
che molti lobomotizzati, come chi ha preso un acido sbagliato, poi non è più
tornato indietro.McMurphy |
La libertà Cheyenne di
Grande Capo
Da qui la trasformazione della psichiatria in
encefaloiatria, ovvero ulteriori manipolazioni della psiche continuative. Di solito, ne manicomi degli anni '50 era prassi, al di la di
come stesse una persona, fare obbligatoriamente due sedute settimanali, ossia
sbruciacchiare qualche milione di cellule cerebrali. Una vera e propria arma in
mano per decenni a chi doveva "curare" i malati di mente, un vero
stato ricattatorio e penetrante. L’ospedale psichiatrico del film è conforme a
questa distorta visione del paziente, come avviene tutt'ora.
Grande Capo |
Il
crogiuolo dei tabù
L'incontro dialogico
Questi restituisce ai pazienti un tempo soggettivo, personale, spazi propri che si trasforma in apertura
e si conserva in speranza nel futuro. Paradigmatici, a riguardo, sono i
personaggi del giovane Billy e dell'Indiano Cheyenne Grande Capo. L'esperienza di un rapporto
d'amore che è anche appagamento dei sensi, nel primo caso quando Billy Bibit
interpretato da un fantastico Brad Dourif riesce a farsi una grande scopata liberatoria con una rossa ramata procuratagli da Nicholson. Nel secondo caso si tratta della libertà di Grande
Capo, quando riesce alla fine del film a scappare verso la libertà conquistata
attraverso una ferrea e inumana metanoia, possibile solo grazie alla fiducia da
essi riposta in McMurphy (e la fiducia, insegna Borgna ancora una volta) nasce
solo da un autentico incontro dialogico.
La dott.ssa Miss Ratched con Billy Bibit, interpretato da Brad Dourif |
Signor Buon
Senso
Proprio i casi di Billy
e di Grande
Capo, sottolineano un’altra lettura del film. Oltre ad essere
una corrosiva denuncia contro un modo di intendere la psichiatria, “Qualcuno
volò sul nido del cuculo” può essere visto come una parabola della
condizione umana in situazione di privazione dei diritti più elementare come il
“dover” chiedere un bicchiere d’acqua o se poter fare la doccia, fino a
denunciare ogni volta che ci si masturba. Se si asseconda questa lettura, la
figura della dottoressa Miss Ratched, fatica ad uscire anche parzialmente
riabilitata, troppo presa dal suo sano principio di vita corretta e sorretta da solidi principi, accompagnata da suo marito Buon Senso. E' tanto chiara la dinamica sotterranea a questo processo involutivo: per anni i malati di mente erano trattati alla stesso livello, se non peggio, dei criminali con decine di omicidi alle spalle. Una malattia che ti buca l'anima e ti rende più vulnerabile di quanto già possa essere un autistico.
Le inferriate dell'ospedale
psichiatrico
Più che l'ospedale psichiatrico, con le sue inferriate e i suoi
reticolati, è il mondo stesso a essere una prigione. Persino la gustosa gita in barca,
raffinata variazione della “Nave dei folli”, un classico dell'iconografia, si
trasforma in un'esperienza reazionaria e rivoluzionaria che emerge dal profondo dei suoi abissi dovuta a tutta la repressione che questi poveretti sono costretti a subire nonostante siano già in stato di decomposizione mentale. Senza un nocchiero che ne governi la barra, l'imbarcazione gira
su se stessa, e chi ne paga le conseguenze sono loro, i matti. L'unica via di fuga sembra essere la
morte. Per questa strada s'incamminano Billy che si suicida dinanzi
all'ennesimo insopportabile ricatto di Miss Ratched e Grande Capo che soffoca
McMurphy ridotto ad una larva dopo una lobotomia effettuata come punizione ad
uno dei suoi atteggiamenti anticonformisti e certamente non borghesi. Sicuramente
non consoni a quel clima dispotico, oppressivo e spettrale che ha il compito di
mantenere sana la follia in quanto economicamente produttiva e soddisfa gli istinti più bassi dell'uomo e della donna, parlo di chi "accudisce" nel film i degenti dell'ospedale psichiatrico.
McMurphy
è volato sul cuculo
è volato sul cuculo
Meglio non nascere allora, o, se si è già nati, allora è
meglio morire prima possibile. Provate a trovare un 50enne che non abbia visto
“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, se ci riuscite. Mi sono accorto che è un film visto da tutti. Penso di aver fatto incetta almeno una decina di volte. Ci sarà anche chi non l'ha visto, ma non moltissimi. Mica per fare a gara per vedere chi è che piscia più lontano, ma per dire
che è stato un momento di passaggio importante per molti cinefili e registi come Scorsese, da sempre grande estimatore di Forman.
nelle atrocità
Immersi
nelle atrocità
Altro punto
importante del film è quando la storia mostra, con incomparabili esiti
artistici esilaranti e drammaticamente commoventi al contempo, l'inaudito miracolo umano. Mi
spiego meglio. Pur potendo fuggire in un paio d’occasioni,
McMurphy non lo farà. Ha deciso lui per tutti. Ha scelto di non abbandonare
i suoi amici (gli individui più innocui che il mondo
possa ospitare) immersi nella miseria anafettiva totale e nell’ingiustizia
atroce quotidiana, avendo capito e scoperto che si può amare sempre, comunque e
dovunque. E’ il miracolo più sconvolgente e irresistibile della creazione tutta.