Il Campione del mondo Garry Kasparov*, racconta del personaggio più talentuoso e mitologico della storia dello sport degli scacchi Bobby Fischer, riportato interamente dal Newyorker.
Il mito, la leggenda, la storia degli scacchi.
Il genio indomabile Bobby Fischer |
Fischer: il RE
degli Scacchi
di Garry Kasparov* ("amico mio")
Non riuscirei mai,
a scrivere con distacco di Bobby Fischer, nemmeno sforzandomi. Sono nato nel 1963, l’anno in cui Fischer trionfò al Campionato USA con punteggio pieno: undici vittorie, senza sconfitte né pareggi. E, sebbene fosse appena ventenne in quel momento, era evidente già da qualche anno che fosse destinato a diventare una figura leggendaria, unica, irripetibile. Il suo libro: "Sessanta partite da ricordare" (Mursia, 2008), fu uno dei primi e più preziosi oggetti legati agli scacchi che ho posseduto.
Quando
nel 1972
a Reykjavik Fischer strappò il titolo di campione del mondo al mio connazionale Boris Spassky, io ero già un discreto giocatore di circolo che aveva seguito ogni mossa degli incontri in Islanda. Nel suo cammino verso la finale, l’americano aveva schiacciato altri due Grandi Maestri sovietici, e tuttavia molti nell’Urss ammiravano tacitamente il suo affascinante talento e la sua sfacciata individualità.
Gli Highlander Bobby Fischer e Boris Spasskij |
Dov'è Fischer?
Sognavo che un giorno avrei giocato con lui e, alla fine, per certi versi, ci siamo realmente affrontati – anche se attraverso i libri di storia e mai di fronte a una scacchiera. Nel 1975 Fischer aveva abbandonato l’agonismo, voltando le spalle al titolo che aveva desiderato così ardentemente tutta la vita. Dieci anni più tardi io avrei conquistato il titolo, strappandolo al suo successore, Anatoly Karpov. Tuttavia, raramente un intervistatore perdeva l’occasione di farmi il suo nome: "Riuscirebbe a battere Fischer?", "Sfiderebbe Fischer, se tornasse a giocare?", "Sa dove si trova Bobby Fischer?".
La scacchiera,
è un universo in continua espansione.
A volte avevo l’impressione di giocare una partita contro un fantasma. Nessuno sapeva dove Fischer si trovasse, né se l’uomo che rimaneva il più famoso giocatore di scacchi al mondo stesse pianificando il proprio ritorno. Dopo tutto, nel 1985, a quarantadue anni, era molto più giovane di due degli avversari che avevo appena incontrato nelle partite di qualificazione per il campionato mondiale. Tredici anni lontano dalla scacchiera però sono molti. Certo, mi sarebbe piaciuto avere l’occasione di gareggiare con lui, e questo rispondevo a chi me lo domandava. Ma come si può competere con un mito? Avevo già Karpov di cui preoccuparmi, che non era un fantasma. Durante l’assenza del grande Bobby gli scacchi si erano evoluti, anche se molti in quel mondo sono rimasti uguali.
Gli Scacchi uniscono Arte,
Intelligenza, Scienza, Carisma
Fu quindi una grande sorpresa vedere riemergere nel 1992 Bobby Fischer in carne e ossa. E giocò per la prima volta in venti anni una partita, a cui ne fecero seguito altre ventinove. Deciso ad abbandonare l’isolamento che si era imposto, allettato dalla possibilità di giocare contro il suo vecchio rivale Spassky nel ventesimo anniversario del loro match per il titolo mondiale – e dai cinque milioni di dollari in palio – un Fischer appesantito e con una vistosa barba si presentò davanti al mondo in una località balneare della Jugoslavia, una nazione all’epoca dilaniata da una sanguinosa guerra.
Il termine deriva dall'occitano escac, che deriva dal persiano
Compen sazione
karmica
Una cosa era certa: i vecchi dubbi su Fischer stavano
riemergendo con rinnovata insistenza. E, prima ancora che egli avesse mosso un
solo pedone, io avevo già iniziato a ricevere le telefonate dei giornalisti.
Finimmo per avere un curioso scambio a mezzo stampa, a distanza, con i
giornalisti che riferivano a uno le risposte dell’altro. Dopo avermi
ripetutamente definito nelle conferenze stampa imbroglione e bugiardo, Fischer
dichiarò che si sarebbe rifiutato di giocare con me sino a quando non avesse
ricevuto i centomila dollari che gli spettavano per i diritti sull’edizione
sovietica del suo libro.
Trovai ironico che il suo capolavoro, "Sessanta partite da ricordare", che tanto aveva influenzato il mio stile di gioco, fosse ora un motivo di contesa. Con il senno di poi, si trattò forse di una sorta di compensazione karmica, dal momento che adesso era Fischer che doveva rispondere a innumerevoli domande sulla possibilità di giocare con me. Ma almeno tutti sapevano dove mi trovavo e, da parte mia, che altro potevo dire se non che avrei certamente giocato con lui? Non credevo che ciò sarebbe realmente accaduto, soprattutto dal momento che Fischer, che continuava a definirsi campione del mondo, non si sarebbe mai sottoposto ai rigorosi allenamenti né avrebbe partecipato agli eventi preparatori indispensabili a rendere un nostro incontro competitivo.
Rappresentazione di un vignettista dell'ultimo Fischer L'Olimpo degli |
Scacchi gli era
precluso
precluso
Come dimostrato, dopo aver sconfitto Spassky nel 1992, Fischer non giocò più. Anche se il suo stile era ormai rugginoso e lui stesso appariva disturbato, il suo giudizio di fronte alla scacchiera rimaneva lucido. Aveva capito che l’Olimpo degli scacchi gli era ormai precluso. Il suo fantasma intanto aveva rinnovato la licenza di perseguitarci ancora per qualche tempo. In seguito i giornali tornarono occasionalmente a occuparsi di lui. L’osceno sfogo con cui celebrava gli attacchi dell’undici settembre, inizialmente mandato in onda da una radio filippina, ha fatto il giro del mondo su internet.
Sputò sui documenti
politici di Bush
politici di Bush
Nel luglio del 2004 fu
arrestato in Giappone perché trovato in possesso di un passaporto non valido, e per questa ragione detenuto per otto mesi circa, sino a quando non gli fu conferita la cittadinanza islandese. Dopo l’incontro con Spassky nel 1992 in Jugoslavia, tenuto in violazione delle sanzioni Onu, per gli USA, Fischer divenne un ricercato, un fuggitivo. Durante la prima conferenza stampa che precedette l’incontro, l’americano sputò su un cablogramma con cui il governo di George H.W. Bush gli ingiungeva di non prendere parte all’evento. Malgrado ciò, Fischer aveva continuato per dodici anni a viaggiare indisturbato fuori dagli Usa, e il suo arresto in Giappone fu per lui – e per tutti – una sorpresa).
Lo scacchiere
della guerra
fredda
La vittoria su Spassky a Reykjavik – il “match del secolo” – lo aveva reso campione del mondo, star mediatica e decorato eroe della guerra fredda. La partita, suo malgrado, si carica di significati politici non voluti ne cercati. Fischer dal canto suo iniziava a ricevere offerte internazionali senza precedenti. Milioni di dollari in contratti pubblicitari, esibizioni, praticamente ogni cosa alla quale avesse voluto accostare il proprio nome o il proprio volto. A parte qualche marginalissima eccezione, le rifiutò tutte. Fischer divenne il peggior incubo degli organizzatori di tornei a causa delle sue denunce sulle irregolarità riguardo al mondo degli Scacchi, ma la cosa non lo preoccupava. Dieci anni dopo la vittoria di Stoccolma, il campionato del mondo del 1972 prevedeva come premio l’astronomica cifra di 250.000 dollari, oltre ad una percentuale sui diritti televisivi dell’evento. Non sarebbe quindi del tutto fuori luogo affermare che l’impatto di Fischer sul mondo degli scacchi riguardò tanto i compensi che il gioco in sé. Il campionato del mondo divenne un evento molto seguito e, come si sa, i soldi fanno girare il mondo.
Se il genio è
difficile da capire,
la follia lo è di più
L’atteggiamento intransigente di Fischer ebbe sul mondo degli scacchi un impatto maggiore rispetto ai risultati storici da lui conseguiti. Non mi riferisco ad alcuna “mossa speciale”, come spesso sospetta chi non ha familiarità con questo sport. Il fatto è che Fischer giocava ogni partita con intensità estrema, come se fosse l’ultima. È il suo spirito combattivo che i suoi contemporanei ricordano soprattutto di lui come giocatore. Se il genio è difficile da definire, la follia lo è ancora di più. A partire dalla fine degli anni Novanta, Bobby Fischer iniziò a concedere sporadiche interviste radiofoniche da cui traspariva un odio sempre più profondo nei confronti del mondo – scellerati diverbi antisemiti, esultanza all’indomani dell’undici settembre. A un tratto, tutte quelle che sino a quel momento erano state per lo più voci diffuse dai pochi con cui Fischer aveva trascorso del tempo dal 1992 in poi emersero alla luce del sole, su internet. Per la comunità degli scacchi fu un’esperienza sconvolgente, e in molti tentarono di reagire. Fischer era malato, disse qualcuno, forse schizofrenico, e andava aiutato, non condannato. Altri attribuirono la colpa di tale risentimento agli anni trascorsi in isolamento, alle sconfitte personali, alle persecuzioni reali o immaginarie subite per mano del governo Usa, della comunità scacchistica, e, naturalmente, dei sovietici.
Bobby Fischer
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La follia dell'amore
Il 17 gennaio del 2008 Fischer morì, a Reykjavik, dopo una lunga malattia per la quale aveva rifiutato le cure. Una decisione per certi versi tipica di Fischer, che era cresciuto giocando a scacchi contro se stesso perché non aveva nessuno con cui giocare. E dopo aver lottato sino all’ultimo e dimostrato a se stesso di essere il suo avversario più pericoloso. La straordinaria vita e la personalità di Fischer non mancheranno certo di ispirare molti altri libri, e probabilmente anche film e tesi di laurea. I suoi modi di fare stravaganti e la sua vita privata caratterizzata da solitudine, scarse abilità sociali e ossessione eccessivo per lo studio degli scacchi portano molti psicologi a ritenere che Fischer fosse affetto dalla sindrome di Asperger. Era chiaro che questa conclamata paranoia superasse di gran lunga la “follia” calcolata e addirittura rigorosa dei suoi tempi d’oro, ben descritta da Voltaire nel suo Dizionario Filosofico a proposito di Ignazio di Loyola: "che la tua follia contenga senno sufficiente da guidare le tue stravaganze; e non dimenticare di mostrarti estremamente supponente e ostinato". Come dire che una follia deliberata, che ci aiuta a raggiungere i nostri scopi, non può essere propriamente considerata folle.
La leggenda volle che il quoziente intellettivo di Fischer, fosse 3 volte superiore alla normalità
L'ultima mossa
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Dopo che Fischer ebbe abbandonato gli scacchi, le forze oscure che si agitavano in lui non avevano più alcuno scopo. Malgrado la sgradevolezza del suo declino, egli merita di essere ricordato per il suo gioco e per quanto fece per gli scacchi. Una generazione di scacchisti americani ha imparato a giocare grazie a lui, ed egli dovrebbe rimanere per le generazioni future un modello di eccellenza, dedizione e successo. La sua tragica fiaba non ha morale, né nulla di contagioso che richieda la quarantena. Bobby Fischer è stato unico, e i suoi difetti furono tanto banali quanto il suo stile di gioco fu geniale.
Magnus Carlsen, il re degli scacchi, mentre batte Anand |
Il "gioco" più
violento al mondo
Se Magnus Carlsen, non avesse avuto una sorella maggiore, oggi non sarebbe diventato il nuovo campione mondiale degli scacchi. Il 22enne norvegese è salito sul tetto del mondo battendo il campione in carica, il 43enne indiano Viswanhathan Anand, grazie ad una partita finita in parità con cui ha reso inattaccabile il suo vantaggio di tre punti nelle ultime due partite della serie di finali a Chennay in India. Quando era bambino però, non era interessato agli scacchi, preferiva fare costruzioni con il Lego. Un giorno vide la sorella giocare a scacchi e, per batterla, decise di concentrarsi sul gioco. E' diventato il giocatore più forte del mondo.
L'"Harry Potter"
degli scacchi,
così l'ambiente scacchistico ha soprannominato Carlsen per la sua giovane età. Un passaggio di consegne "virtuale", visto che il campione norvegese è il più giovane campione del mondo proprio dai tempi del campione russo che vinse il titolo a 22 anni nel 1985. Da allora Kasparov si confermò campione fino al 1993. Un dominio che potrebbe essere ripetuto anche da Carlsen. Il campione norvegese è diventato il più giovane numero uno del mondo della storia all'età di 19 anni ed è stato il più giovane giocatore a superare i 2.600 punti nella classifica della Federazione internazionale. Che significa, in termini calcistici, aver vinto la Coppa del Mondo e la Champions Leaugue.