lunedì 23 dicembre 2013

Un uomo da marciapiede

  Nomadi passeggiate
sul grande     schermo
Voight e Hoffman, "Un uomo da marciapiede"
"Sai cosa? È un peccato che  tu non possa    vederti la tua faccia"
           di Matteo Tassinari
La prima  volta che lo vidi mi fece schifo. Era il 1974 e avendo i miei invidiabilissimi 12 anni, come poteva piacermi “Un uomo da marciapiede”? Dal titolo attraente, senz’atro, forse lunico motivo che mi spinse ad andarlo a vedere, originale per l’epoca e per come era vissuto il sesso. Midnight cowboy forse non era possibile proporre una traduzione più delittuosa, nonché volgare, di quella italiana. Evocando una pruderie d'accatto, evocando fantasmi per l’America puritana degli anni ’70, come film sull’omosessualità, deviante e nichilista. E' un viaggio nelle viscere della bestia, intesa come metropoli e tutte le attrazioni che le sono proprie, talvolta si sparisce, per ricomparire più. Nessuna domanda. La Grande mela ha inghiottito tutto, anche quello che non c'è e non ci sarà mai. E' molto vorace New York, cattiva come la sua novità e allo stesso tempo borghese chi la vive, pur facendo operazioni infiammate da veri vizi finte virtù.
Nel cuore della bestia


Il
 puritanesimo     americano
Mai celluloide di sifatta natura è stata offerta al popolo americano. “Un uomo da marciapiede”, è senz'altro un film di rottura, di allarme rispetto ai gusti del momento è una curva nella cinematografia mondiale.  enfatizza una certa scabrosità a sfondo sessuale che, pur presente, è tuttavia secondaria. Non di un film sulle perversioni sessuali della Grande Mela si tratta, bensì di una storia di due solitudini maschili, che Schlesinger riesce a narrare con polso fermo, mettendo la sordina proprio a quegli spunti che avrebbero potuto tradursi in occasioni di scontato voyeurismo. Già anticipa tutti gli estremismi omofobici che abbiamo constato da molte parti, in molto contesti, in numerosi e sommari giudizi fascisti, di destra, le case Pound, centri culturali che si vestono in un modo ma sono tutt'altro. Un film recepito dal pubblico superficialmente, probabilmente perché ancora sbronzi del precedente e più banale "Laureato", più commerciale e di cassetta. Sempre però di un esordiente ed esplosivo Dustin Hoffman, che in quegli anni diventa l'attore più pagato assieme a De Niro e Nicholson, fino a decretarne in poco tempo le capacità interpretative e attoriali.
John Schlesinger 
       Tocco Schlesinger
Il Cow Boy Be-Pop

CineDramma
patetico su una strana amicizia che sboccia come un fiore nel fango di Manhattan. Ebbe 3 Oscar: film, regia, sceneggiatura (Waldo Salt, da un romanzo di James Leo Herlihy). Per Hoffman, piccolo grande uomo, soltanto una nomination. La ebbe anche Voight. Fu per entrambi il 3° film e il definitivo lancio come star. Schlesinger è uno dei maggiori registi inglesi che si siano affermati a Hollywood (ciò accade a partire dalla seconda metà degli anni sessanta). Dopo aver partecipato alla guerra, si avvicina al cinema e qui incontra l'amico Peter Finch (1916-1976). Con quest'ultimo esordisce come attore, all'età di 30 anni. Shlesinger inizialmente sembra narrare la storia di un giovane annoiato dalla mediocrità della sua vita, che mischia con le continue incursioni della fantasia e dei ricordi, e in cerca della grande rivalsa, ansioso di riscatto, dei soldi facili, della realizzazione.


Ma più ci si addentra
nella narrazione, più il regista ci prende per mano e ci trascina nel ventre di New York, nella pancia della bestia, dove tutto sembra permesso, perché è natura umana avere un posto nella città stampata su cartoline e depliant, dorata, sempre attiva, giorno e notte, dove indigenza, degrado, sporcizia e malattia sono invece i protagonisti di un triste panorama in cui la distanza fra vivere e sopravvivere si fa davvero labile. Situazione non molto dissimile da quella che stiamo vivendo, ma la differenza dal 1969 è tutta nell'entusiasmo, nell'allegria di darsi coraggio anche nel pianto. Non mi piace che si finga di sprezzar la morte. La legge principale è saper sopportare quando e quanto è inevitabile, perché per chi non l'avesse ancora interiorizzato, la morte è un'usanza che tutti dobbiamo, prima o poi, rispettare.

Cowboy texano arriva a New York deciso a fare soldi con le donne ma passa brutte esperienze e un duro inverno con Ratso Rizzo, italoamericano zoppo e tubercolotico. Cinedramma patetico su una strana amicizia che sboccia come un fiore nel fango di Manhattan. Ebbe 3 Oscar: film, regia, sceneggiatura (Waldo Salt, da un romanzo di James Leo Herlihy). Per Hoffman, piccolo grande uomo, soltanto una nomination; la ebbe anche Voight. Fu per entrambi il 3° film e il definitivo lancio come star. Grande successo anche per la canzone "Everybody's Talkin'" di Fred Neil.


L'incanto di

Brokeback Mountain
Midnight cowboy suona quasi come un ossimoro. Si avverte un netto contrasto tra l'atmosfera notturna evocata dalla prima parola e l'idea di spazi immensi, bagnati da una luce tenace, che, almeno nell'immaginario collettivo, è insita nella seconda. A suo modo, il capolavoro di Schlesinger, è un western moderno. Un modo di girare un movie relegabile al filone del Western ma sprigionando novità sulla narrazione degli eventi e sul linguaggio che viene usato, spesso più vicino ai figli dei fiori che agli amanti di Robert Mitchium. Un western anomalo, perché, pur riprendendo il grande mito americano della frontiera, lo svuota di significato mostrandone senza trucchi l'altra faccia della medaglia, quella oscura, piena di gente che si lascia piovere addosso senza lamenti. Il West è stato ormai conquistato e con la conquista ha perduto quell'aura mista di incanto e di pericolo che tanto affascinava per poi ritornare al felice "I segreti di Brokeback Mountain".
Lou, Cow Boy Be-Pop, ragazzo selvaggio
Brano storico di Harry Nilsson
La stupenda "Everybody's Talkin" di Harry Nilsson, con la quale segnò la storia musicale e sociale di una generazione. Questo è l'unico frammento musicale dove la canzone si può ascoltare dall'inizio alla fine, lo definirei senza remore di sorta, un reperto storico in musica

La tenerezza
umana

per la     paura
Non esiste più un confine da tracciare. Una frontiera, appunto, al di là della quale l'uomo, con il suo coraggio e la sua Metis, poteva affermare pienamente se stesso scolando birre nel barattolo fino a notte con salsicce alla brace. Crollata è la distinzione tra il selvaggio Ovest e il civilizzato Est. La zona di confine è stata cancellata da una civiltà che domina il tempo e lo spazio, e con essa è stato cancellato anche il mythos della frontiera. Il film si apre con lo schermo bianco di un drive-in. E' facile immaginare che tanti film western siano stati proiettati su di esso, ma ora quel suo bianco quasi accecante decreta, con implacabile evidenza e senza alcuna possibilità d'appello, la fine non solo di un genere cinematografico, ma anche di un epos tutto americano.
E il Sogno americano?

Per quanto riguarda il sogno americano, la denuncia del regista è spietata: la determinazione ed un duro lavoro non sono sufficienti per ottenere il benessere, come ogni americano aveva sempre pensato. L'amara realtà viene mostrata con un montaggio innovativo per l'epoca. Le sequenze veloci nella narrazione del presente sono rallentate dai flashback del passato di Joe. Nel corso del film non mancano brevissimi accenni storici dell'epoca attraverso un cartellone pubblicitario, immagini da un televisore che ci riportano immediatamente alla guerra in Vietnam, un telegiornale, visto in una decina di fotogrammi, su Kennedy. Dustin Hoffman offre un'interpretazione tra le migliori della sua carriera. Risulta repellente, appiccicaticcio, sozzo. Per essere il più credibile possibile nella parte dello storpio azzoppato, Hoffman camminò per mesi con una scarpa mezza piena di ghiaia, ma anche Jon Voight non è da meno, offrendo un'interpretazione estremamente convincente. Nel suo viso si leggono ingenuità, perplessità, desolazione incredibilmente persuasivi.
Cowboy kitsch
Ma dire che il mito della frontiera è tramontato, significa affermare che la notte ha sostituito la tersa luminosità della prateria. Joe Buck, il protagonista del film, è l'ultimo rampollo di quel tempo ormai lontano. Del cowboy egli conserva solo l'abbigliamento, ma anche questo è svilito a un costume da carnevale, il cui Kitsch mostra quanto irrevocabilmente perduto sia il modello originario. Joe è, appunto, un midnight cowboy, un cowboy notturno e lunare, senza un cavallo a cui imporre il morso con virile baldanza o pistole da estrarre con un guizzo dalla fondina; anzi, non è neppure più un cowboy, come egli stesso riconosce in più di un'occasione. Se Joe è il negativo fotografico dell'autentico cowboy, specularmente opposta sarà pure la meta verso cui egli rivolgerà i suoi passi: non più l'Ovest, bensì l'Est, e in particolare New York, la grande città che di quella mitica conquista fu l'avamposto. Qui conosce l'italo americano Ratso Rizzo detto 'il Sozzo', un misero truffatore che vive di espedienti, pure lui naufrago di un altro miraggio di conquista, quello che dall'Europa spinse milioni di uomini e donne a tentare la fortuna nel Nuovo Mondo. Il loro è l'incontro di due solitudini, di due naufragi, di due erranze che insieme cercano di migliorarsi la vita, l'uno all'altro.

La grande fuga

Non esiste più un posto da conquistare, una terra su cui stabilire una salda dimora; una fuga senza fine sembra essere ormai il destino dei due compari: Joe è sbattuto fuori dalla camera dove alloggiava per non aver pagato la rata delle pigione, neppure la valigia con tutto l’universo simbolico che essa custodisce gli sarà restituita. Rizzo, invece, è costretto, per intervenuti lavori di ristrutturazione, ad abbandonare l'edificio diruto dove aveva trovato riparo. Ancora più gramo di quello 'dei padri è il destino riservato ai figli: anche se abbrutiti da lavori massacranti (il padre di Rizzo trascorreva undici ore al giorno a lustrare le scarpe nella metropolitana di NewYork), e anche se obbligati a pagare un tributo di sangue per il proprio paese (il padre di Joe morì in guerra quando lui era bambino), almeno i padri potevano rivendicare il possesso di una Heim, di una “casa” che era anche 'patria'. Sopra i figli, invece, cala una densa midnight.
Prostituti a mezzanotte
La mezzanotte, però, è anche l'ora in cui la tenebra è più fitta. Una volta trascorsa, essa è destinata a diradarsi. Senza indulgere ad alcun edificante happy end, il regista s'inoltra nella seconda metà della notte, promessa di un'alba ventura di cui la Florida è chiaro paradigma. È qui, infatti, nelle sue spiagge bagnate dal sole, che Rizzo, minato dalla tisi, vorrebbe trascorrere il breve tempo che ancora gli è concesso. Il viaggio verso la Florida è l'opposto di quello che intrapresero secoli addietro i pionieri: non più da Ovest verso Est, bensì da Nord verso Sud; da orizzontale, la direttrice si fa verticale. Da conquistare, ora, non è più una terra, per quanto lussureggiante e solatia, bensì una condizione esistenziale. Schlesinger declina in modo magistrale il tema del viaggio, che a poco a poco perde i suoi connotati geografici per aprirsi a una dimensione trascendente. Il viaggio verso la Florida suggella l'amicizia tra il cowboy e il magnaccia fallito: per trovare i soldi necessari per il viaggio, Joe accetta di prostituirsi anche con degli uomini - e forse si spinge addirittura ad uccidere, come sembra alludere la cruda sequenza della colluttazione con il commesso viaggiatore.
       L'amato e  frocio              puzzolente
Tuttavia, come Mosè, anche Rizzo non riuscirà ad entrare nella terra promessa, perché morirà ad appena un paio di chilometri dall'ultima fermata. Sarebbe l'ennesimo, e forse più cocente fallimento di una vita che ha conosciuto solo le latrine di questo mondo, se non fosse che il viaggio, come si accennava, ha ormai perduto qualsiasi riferimento geografico per farsi apertura all'inaudito. Proprio sul punto di morte Rizzo ha ricevuto il premio più prezioso, e cioè l'amore di un altro essere. Lo stesso si può dire anche per Joe, il cui personaggio alla fine del film si arricchisce di indubbie suggestioni evangeliche. La scena finale è di una bellezza che frastorna. Quasi volesse proteggere l'amico dallo sguardo lubrico degli altri passeggeri, Joe abbraccia il corpo di Rizzo, formando così una singolare ‘pietà’. Un corpo che con la sua stessa stazza vole proteggere la morte del suo amico, la dignità che si deve anche a chi non abbiamo mai invitato. E' con il magone alla gola che ricordo l'abbraccio a Rizzo è prima di tutto l'abbraccio al ‘Sozzo’, all’ultimo della terra, al diseredato, all’esule, al reietto, alla pietra scartata dai costruttori che l'amore trasforma in quella pietra angolare senza la quale la città, lo stato e il mondo, tu e io, tutto crollerebbe. E' tutto da ripetere, sotto un altra forma che non so, ma bisogna ricominciare.